Le epidemie si creano quando ci sono grandi squilibri fra uomo e ambiente
Pensiamo all’Aids: il virus arrivava dalle scimmie e ha contagiato l’uomo. E il virus Ebola è emerso dagli animali per via delle deforestazioni e ha raggiunto l’uomo. La salute è circolare e se un componente del ciclo si ammala è a rischio tutto il resto. Come diceva il matematico e meteorologo americano Edward Lorenz, «Un battito d’ali di farfalla della giungla amazzonica può provocare un uragano sull’Europa». Una massima che è molto attuale, se si pensa che il coronavirus fino a poco tempo fa si trovava nella giungla cinese e circolava indisturbato nella popolazione di pipistrelli locali. È stato il nostro intervento, l’azione umana, a tirarlo fuori da quello stato. Molti animali vengono catturati e venduti per essere consumati secondo alcuni costumi tradizionali. Un fatto che avviene tuttora e che è avvenuto senza che ce ne accorgessimo per decenni.
Cosa è cambiato? Le megalopoli
Se il contagio fosse rimasto limitato a un villaggio sperduto nella foresta – cosa che avviene, del resto – non si sarebbe propagato e, soprattutto, non sarebbe diventato una minaccia globale. Sarebbe rimasto confinato a un gruppo di individui e, con ogni probabilità, si sarebbe risolto nel gruppo in questione. Le megalopoli hanno amplificato l’area del contagio. La globalizzazione l’ha estesa a tutto il pianeta.
Come pensiamo sia arrivato il coronavirus in Europa? Con l’aereo
L’effetto domino che abbiamo sotto gli occhi, a livello sociale e soprattutto economico, è immenso. Basti pensare che le emissioni di Co2 in Cina negli ultimi tempi si sono ridotte dal 15 al 40%. Si sono bloccati i trasporti, si sono fermate le industrie. Le conseguenze sono enormi.
Il concetto base è: se intervieni su un ecosistema e, nel caso, lo danneggi, questo troverà un nuovo equilibrio
Un nuovo equilibrio che spesso può avere conseguenze patologiche sugli esseri umani. Lo si vede con le conseguenze, non volute, dell’impiego su larga scala dei pesticidi, che sono andati a danneggiare la popolazione di api e farfalle. Queste ricadute sull’ambiente raggiungono alla fine, la nostra salute. Perché – e questo è il secondo concetto fondamentale che dovrà diventare chiaro a tutti gli stakeholder del settore– noi viviamo in un ambiente chiuso. Come se fossimo un acquario. La nostra salute dipende per il 20% dalla predisposizione genetica e all’80% dai fattori ambientali. La cura deve studiare, oltre all’organismo in questione, anche il contesto.
Salute circolare significa anche ambientalismo
Sono due aspetti che, ormai, vanno considerati nello stesso quadro. La salute delle persone dipende da come si vive e dove si vive, senza dimenticare che tutto è collegato. Adesso lo vediamo nella sua forma più lampante con il coronavirus. Ma ci sono fenomeni altrettanto gravi, di cui si parla poco e in forma discontinua.
Ilaria Capua, virologa (estratti da alcune interviste)