Ferrovie abbandonate del Trentino Alto Adige

Nel corso del 1900 sono state dismesse ben 8 ferrovie storiche in quello che un tempo era il Sudtirolo, divenuto “Trentino – Alto Adige” dopo la fine della seconda guerra mondiale.  Alcune ferrovie sono nate alla fine del 1800, sulla spinta della “Belle Epoque” e il nascente turismo, altre invece per scopi bellici prima e durante la Grande Guerra. Nessuna è sopravvissuta allo sviluppo travolgente del trasporto privato con l’automobile nel secondo dopoguerra.   

Trenino della Val Gardena (foto da Wikipedia)

Ferrovia “MAR”: Mori – Arco – Riva del Garda (1890-1936)

Il comitato per lo studio della fattibilità di una ferrovia che collegasse la valle dell’Adige con il lago di Garda nacque nel 1870. Dopo alterne vicende e progetti ricusati, il 23 novembre 1889 l’autorità viennese diede la concessione definitiva alla costruzione della ferrovia, accordandola al noto ingegnere ferroviario Rudolf Stummer Ritter von Traunfels. Era prevista anche l’eventuale linea di congiunzione per Rovereto, nonché una prosecuzione da Arco fino alle Sarche passando per Dro: quest’ultima non fu mai realizzata.

Il tracciato originale congiungeva Mori con Riva del Garda, per una lunghezza complessiva di 24,2 km che venivano percorsi in un tempo compreso tra 75 e 90 minuti, ad una velocità media inferiore ai 20 km/ora. La pendenza massima era del 28 per mille e il raggio minimo di curva era pari a 50 m. Lo scartamento era il cosiddetto “scartamento bosniaco” di 760 mm. Nel 1925 fu costruita l’estensione fino a Rovereto per altri 4,4 km. La rapida crescita del trasporto automobilistico mise in crisi economica la ferrovia, che dal 1933 fu affiancata da un servizio di autobus e poi fu definitivamente soppressa il 21 ottobre 1936.

Una curiosità: una delle tre locomotive,  la “Riva 2360” costruita a Krauss nek 1810 in Austria, fu “trovata” incredibilmente in Nebraska dopo un secolo. Entrata in servizio ai primi del Novecento, percorse la linea gardesana fino al 1915, quando i danni subiti dal collegamento ferroviario a causa della guerra fecero optare per la sospensione del servizio. Fu trasferita alle ferrovie militari austriache: nel 1918 la locomotiva era nella città di Stryj in Polonia (ora Ucraina) dove rimase fino al 1939. Di essa si persero le tracce fino al 1945 quando ricomparve al servizio della ferrovia federale rumena sulla linea di “Alba Julia-Zlatna” con il numero 395-104 e dove rimase attiva fino al 1968. Dal 1968 al 1973 la proprietà del locomotore passò alla Plasser & Theurer di Vienna, in Austria. Nel 1974, in seguito ai contatti intercorsi fra Austria e Stati Uniti, la locomotiva fu donata al giardino zoologico di Doorly, nel Nebraska, dove è stata utilizzata fino ai giorni nostri.

Il Trenino di Fiemme: Ora – Predazzo (1917-1963)

Fu costruita per esigenze belliche nel 1917 dal genio militare austriaco durante la Grande Guerra, congiungendo la Val d’Adige con la Val di Fiemme. Lunga 50 km e a scartamento ridotto, è rimasta attiva fino al 1963. Gran parte del percorso originale è rimasto fino ai giorni nostri trasformato in pista ciclabile.

Le prime idee di una ferrovia per la Val di Fiemme cominciarono a farsi strada a fine ‘800. Erano ipotizzati due diversi progetti: uno faceva capo a Paolo Oss Mazzurana, sindaco di Trento, che proponeva per un accesso alla val di Fiemme di partire da Lavis risalendo la valle di Cembra per raggiungere Predazzo, e un secondo sostenuto da Bolzano che sosteneva l’asse Egna-Predazzo-Moena.

L’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale, nel maggio del 1915, accelerò la realizzazione della ferrovia. L’obiettivo di trasportare in 24 ore, da Ora alla val di Fiemme, un’intera brigata di fanteria completa di equipaggiamento e armamento, indusse lo stato maggiore dell’impero austro-ungarico a fare proprio il progetto auspicato dalla città di Bolzano. Data la ristrettezza del tempo a disposizione, e per evitare l’onerosa costruzione di un ponte sull’Adige, l’innesto sulla linea del Brennero venne spostato da Egna a Ora. 

Le priorità belliche non impedirono di sviluppare l’opera anche nella prospettiva di un successivo utilizzo civile e turistico: infrastrutture, traversine e materiale rotabile di nuova costruzione, furono sin dall’inizio progettati per consentire un’agevole migrazione allo scartamenti metrico e ad una eventuale elettrificazione. I lavori iniziarono nell’inverno 1915-16. Gli addetti raggiunsero punte massime di 6000 uomini: 3900 civili, 600 militari e 1500 prigionieri, prevalentemente serbi e russi e montenegrini. Molti di questi ultimi perirono decimati da malattie e privazioni. Non mancò, soprattutto nel tratto terminale della linea, il contributo di numerose donne.

Nel 1916 la conquista da parte italiana del Monte Cauriol, nella Catena del Lagorai, obbligò il progettista, ingegner Orley, a modificare il tracciato per evitare che la ferrovia potesse essere colpita dagli obici italiani posti sul monte ma soprattutto dalla artiglieria pesante piazzata a Caoria, che poteva ora disporre di un osservatorio in quota per orientare meglio i tiri parabolici. La modifica del percorso privò del collegamento ferroviario i paesi di Tesero, Panchià e Ziano. Pertanto il tratto Cavalese-Predazzo entrò in funzione solo il 1º febbraio 1918, quando ormai, a causa dell’arretramento del fronte italiano seguito alla rotta di Caporetto, la zona del Lagorai era diventata una retrovia.

La gestione asburgica della ferrovia durò meno di un anno, in quanto nel novembre 1918 la guerra ebbe fine e con il passaggio del Trentino-Alto Adige all’Italia la ferrovia, il cui esercizio era stato interrotto il 31 ottobre, passò al Genio militare italiano, e successivamente alle Ferrovie dello Stato. L’esercizio regolare riprese nel febbraio 1919. La circolazione era regolata con le vie libere telegrafiche e poi telefoniche mentre non esistevano segnali fissi di protezione e partenza nelle stazioni; sui deviatoi dei binari di corsa furono installati i comuni dischetti di posizione. I tempi di percorrenza superavano le quattro ore; allo scopo ridurre gli stessi furono soppresse le fermate Villa, da poco attivata, e Castel d’Enna e trasformate in stazioni quelle di Fontanefredde e Ziano.

La gestione ferrovie dello Stato cessò il 31 dicembre 1927 per passare alla Ferrovia Elettrica Val di Fiemme (FEVF), società appositamente costituita, che aveva ottenuto la concessione per la sistemazione, elettrificazione ed esercizio della Ora-Predazzo. Fu realizzata una linea a sospensione trasversale (data la non elevata velocità dei treni) sorretta nelle stazioni da pali in cemento armato, mentre in linea fu usato legno di larice. All’alimentazione, in corrente continua a 2600 volt, provvedeva la sottostazione di San Lugano. Lo scartamento fu incrementato a 1 metro]. Il 28 ottobre 1929 fu inaugurata l’elettrificazione e i tempi di percorrenza si ridussero a 2 ore e 15 minuti.

A seguito dell’elettrificazione e di percorrenza più rapidi, il traffico passeggeri aumentò notevolmente, tanto che nel 1932 circolavano ben dieci treni viaggiatori al giorno, oltre a diversi lunghi convogli merci carichi di legname, minerali e altri prodotti della valle.

Nel corso della seconda guerra mondiale l’attività, sia pure ridotta al minimo, non fu mai completamente interrotta. Nel secondo dopoguerra la linea conobbe una rinnovata giovinezza sia nel trasporto merci che nel trasporto passeggeri sull’onda dello sviluppo turistico della valle. Nel 1963, a seguito dell’inarrestabile sviluppo della motorizzazione su strada, venne scelto di chiudere la linea il 10 gennaio, e nel giro di pochi anni venne smantellata. Tutto il materiale rotabile (motrici A1, A2, A3, locomotori B51 e B52, carrozze lunghe C101, C102, carrozze corte C103, C104, C105, C106 e tutti i carri merci) ed i trasformatori di alimentazione vennero ceduti alla Ferrovia Genova Casella. Le motrici A1 e A2 sono ancora esistenti e la A2 è stata restaurata nelle condizioni d’origine fra il 2016 e il 2017; la B51 è stata acquistata dalla Trentino Trasporti e restaurata come unità storica in occasione del centenario della linea Trento-Malé nel 2009.

I principali manufatti della ferrovia, vere e proprie opere d’arte ingegneristiche, erano rappresentate da sei gallerie per uno sviluppo complessivo di 786 metri, sette viadotti e otto ponti per il superamento dei numerosi rii e torrenti delle valli laterali interessate. I passaggi a livello furono ben 217. C’erano otto stazioni intermedie, quasi tutte dotate di rifornitore idrico per le locomotive.

Ferrovia Dermulo – Passo Mendola (1909-1933)

La “Ferrovia dell’Alta Anaunia” era una linea tranviaria interurbana, inaugurata nel 1909, che collegava Dermulo al Passo della Mendola. Qui era in servizio una ripida funicolare che scendeva in Val d’Adige, quindi con un altro tratto di ferrovia da S. Pietro a Caldaro si poteva raggiungere Bolzano. I due capoluoghi di provincia, Trento e Bolzano, erano dunque collegati. 

Le elettromotrici utilizzate nelle ferrovie locali austrungariche erano dei caratteristici vagoni rivestiti in legno bianco-marrone. Una menzione particolare riguarda l’elettromotrice “Alioth”: con una velocità massima di 25 km/h, offriva 40 posti a sedere e un comparto bagagli. La trazione era assicurata da quattro motori da 51,5 kW ciascuno, la lunghezza del vagone era di 15 metri per un peso di 22 tonnellate.  Quando la ferrovia Dermulo – Mendola fu dismessa, nel 1934, la motrice fu ceduta alla ferrovia del Renon e messa in servizio sulla tratta L’Assunta-Collalbo.

Ferrovia di Bolzano – Caldaro (1898-1971)

L’idea di una linea ferroviaria a scartamento normale che collegava la città di Bolzano con il comune di Caldaro attraverso il territorio dell’Oltradige si rafforzò alla fine del XIX secolo, con la necessità di dotare il territorio di una propria linea ferroviaria allacciata alla rete europea. Tale esigenza nasceva dalla richiesta dei produttori frutticoltori e viticoltori di disporre di un valido mezzo di trasporto per esportare i propri prodotti, nonché dalla volontà di servire i turisti che in numero crescente si recavano in villeggiatura nelle zone vallive a meridione della città di Bolzano. Entrata in esercizio nel 1898, era servita da traffico passeggeri fino al 1963 e da convogli merci fino al 1971, anno in cui venne chiusa e successivamente smantellata. La tratta era conosciuta localmente con i soprannomi tedeschi Kaltererbahnl e Lepsbahnl, nonché in italiano come “Vacca di Caldaro”, in probabile contrapposizione alla “Vacca Nonesa” della analoga ferrovia sul versante trentino.

A sx la Dermulo-Mendola, al centro la funicolare (in nero) in alto a dx la Caldaro – Bolzano

Il 19 ottobre 1903, allorché fu inaugurata la funicolare della Mendola, la ferrovia fu prolungata fino alla frazione di Sant’Antonio (St. Anton, a quota m 563). In considerazione del cattivo stato in cui versavano rotabili e impianti ne corso degli anni, e giudicando eccessivamente oneroso un intervento migliorativo, nell’agosto 1963 il servizio passeggeri sulla linea venne soppresso e sostituito da autoservizi. La ferrovia rimase tuttavia attiva per i soli treni merci fino al 28 giugno 1971, data in cui fu effettuato l’ultimo viaggio. Dagli anni 2000 sull’ex sedime ferroviario tra Ponte Adige e Caldaro è stata realizzata una pista ciclabile.

Ferrovia – cremagliera all’Altopiano del Renon (1907-1966)

L’idea di costruire una ferrovia a cremagliera con trazione a vapore che collegasse l’altopiano del Renon al centro della città di Bolzano fu avanzata per la prima volta verso la fine del XIX secolo. I costi previsti erano piuttosto elevati, mentre la difficile morfologia del territorio e il grande dislivello da superare avrebbero verosimilmente comportato lunghi lavori e la realizzazione di complesse soluzioni costruttive. Tutto ciò, unitamente a problemi di ordine politico, impedì che tale idea si traducesse nella realizzazione di studi concreti.

Quando fu finalmente realizzata nel 1907, la ferrovia ruppe il secolare isolamento dell’altipiano del Renon: fino ad allora poteva essere raggiunto solo attraverso mulattiere, sentieri impervi e qualche impianto teleferico precario. Per questa ragione la nuova opera fu aspramente criticata da taluni abitanti delle zone coinvolte e da alcuni notabili bolzanini tradizionalisti, abituati a trascorrere i propri periodi di villeggiatura estiva sul Renon e particolarmente affezionati alla tranquillità dell’incontaminato ambiente montano.

Il tracciato era lungo 11,7 km: la pendenza massima era del 255% sul tratto a cremagliera e del 45% nei tratti ad aderenza naturale. I raggi minimi di curvatura erano di 30 m nella tratta urbana, 60 m sul tronco a cremagliera e 45 m sull’altipiano. Il tratto a cremagliera includeva un viadotto a sedici arcate lungo 150 m e una galleria di 66 metri al km 3,8.

Dal capolinea vallivo di piazza Walther vi era dunque un primo tratto su rotaia fino alla fermata intermedia di via Renon, dove iniziava la ripida cremagliera fino a l’Assunta, quindi su rotatia fino Collalbo (Klobenstein). Il collegamento si rivelò ben presto assai prezioso per le varie località del Renon: sia il traffico viaggiatori che il trasporto di merci furono  da subito piuttosto intensi e remunerativi per la società gerente. Fino alla costruzione della strada carrabile di collegamento col capoluogo, a metà degli anni Sessanta, la via ferrata rimase l’unica infrastruttura di connessione tra l’altipiano e la vallata bolzanina. Il tratto a cremagliera fu funestato da due gravi incidenti nel 1917 e nel 1964, con morti e vari feriti. In entrambi i casi, concausa della tragedia fu probabilmente l’aggiunta al convoglio di un ulteriore rimorchio adibito al trasporto di materiali edili: il complesso ne risultò sovraccaricato, contribuendo a mettere in crisi il sistema frenante dell’elettromotrice.

La crisi economica degli anni 1930 scoraggiò tuttavia l’esercente dall’effettuare investimenti d’ammodernamento e potenziamento della linea: il calo di traffico successivo alla seconda guerra mondiale peggiorò ulteriormente le condizioni del servizio. In tale clima, il 23 dicembre 1948 venne soppressa la rete tranviaria urbana e conseguentemente rimossi i raccordi con la ferrovia. Il tratto a cremagliera fu comunque mantenuto fino al 15 luglio 1966, quando fu sostituito dalla nuova funivia che consentiva di accorciare il tempo necessario a coprire la salita dal capoluogo all’altopiano a soli 12 minuti, contro l’ora abbondante richiesta dal treno.

Dopo la dismissione del tratto a cremagliera Bolzano-L’Assunta, l’unico tronco della ferrovia rimasto in esercizio è quello fino a Collalbo: esso si caratterizza per l’ampio panorama che spazia sui gruppi montani di Latemar, Catinaccio, Sciliar, Sassolungo e Sassopiatto, di cui si può godere dai convogli durante la marcia.

Con la fine del XX secolo il flusso di passeggeri sulla tratta riprese a crescere: in ragione di ciò, nell’aprile 2009 la giunta provinciale di Bolzano potenziò il parco rotabili acquisendo due convogli dalla ferrovia elvetica San Gallo-Trogen (Trogenerbahn), che vennero riallestiti e adattati alle esigenze della via ferrata dell’altipiano.

Il “trenino del Renon”, sul modello svizzero in voga ai tempi della Belle Époque quando si volle aprire l’accesso alle montagne ai turisti benestanti, è l’ultimo del suo genere in tutto l’Alto Adige. Oggi collega solamente Soprabolzano – Collalbo e qualche corsa per Maria Assunta con vagoni d’epoca e altri più moderni. La vista panoramica mozzafiato sulle cime delle Dolomiti lungo il tracciato è tra le più belle della zona, dalle fermate partono inoltre numerosi sentieri che percorrono l’Altopiano del Renon.

Il Trenino della Val Gardena (1916-1960)

La ferrovia della Val Gardena era una linea ferroviaria a scartamento ridotto che collegava la val d’Adige presso Chiusa alla Val Gardena fino al Plan de Gralba. Costruita dall’esercito imperiale austriaco durante la prima guerra mondiale come via di comunicazione ad uso strettamente militare per rifornire il fronte. Nel primo dopoguerra, a seguito del passaggio dell’Alto Adige all’Italia, fu convertita al servizio viaggiatori e merci, restando in attività fino al 1960. 

Un primo progetto per una strada ferrata a scartamento metrico che collegasse Chiusa con la val Gardena a servizio del nascente traffico turistico fu presentato nel 1906. Nei dibattiti dell’epoca si trattava di un programma ambizioso, che avrebbe in prospettiva condotto a una linea prolungata ulteriormente verso est fino a raggiungere Cortina d’Ampezzo ma che non ebbe seguito.

Lo scoppio della prima guerra mondiale fornì l’occasione per costruire la ferrovia: nata essenzialmente per esigenze belliche, la stessa fu realizzata dal genio ferroviario militare austriaco tra il 1915 e il 1916. Dati gli scopi e la necessità di realizzarla in tempi brevi, la costruzione avvenne con metodi sbrigativi e materiali economici (i ponti e viadotti vennero costruiti in legno e solo in seguito sostituiti da opere in muratura) utilizzando come manodopera anche prigionieri di guerra russi e serbi. La ferrovia fu attivata il 6 febbraio 1916 dopo cinque mesi di lavori, fatta salva la galleria di Santa Cristina, ancora in costruzione, che costrinse a costruire un insolito tracciato provvisorio nel cuore del centro abitato: i treni, una volta giunti presso la locale chiesa parrocchiale, dovevano fermarsi e ripartire in retromarcia. L’esercizio curato dalle Ferrovie Regie Imperiali (KuK), prevedeva 20-25 corse  giornaliere. La difficile orografia della Val Gardena e il grande dislivello da superare tra i due capolinea (dai 520 m s.l.m. di Chiusa si arrivava ai 1592 m di Plan, la stazione ferroviaria a maggior altitudine d’Italia) resero la costruzione della linea piuttosto complessa. Per evitare che i treni dovessero affrontare percorsi eccessivamente in pendenza, si realizzarono diverse gallerie e viadotti. 

Nel 1918, al termine della guerra, col passaggio del territorio all’Italia, la linea venne affidata alla giurisdizione delle Ferrovie dello Stato; dopo alcuni lavori per adattare la linea al trasporto di persone e merci la linea fu riattivata il 5 febbraio 1919. Alla fine degli anni 1910 la ferrovia aveva acquisito una certa rilevanza economica: il turismo nella zona dolomitica aveva ripreso vigore e cresceva la richiesta di prodotti di artigianato ligneo. La ferrovia permetteva ai turisti di raggiungere la valle direttamente da Chiusa, godendosi peraltro di un tragitto panoramico, e rivestiva anche un ruolo fondamentale per il trasporto di merci.

Il treno impiegava in media 2 ore e 40 minuti a compiere il percorso. L’esistenza della ferrovia cominciò tuttavia ad essere minacciata: l’embargo all’Italia decretato dalla Società delle Nazioni indusse il Ministero delle comunicazioni, con proprio decreto n. 2756 del 13 febbraio 1940, a sopprimere la linea, che sopravvisse solo per l’energica opposizione degli operatori della zona. Nel 1949 fu costituita la Società Ferroviaria Val Gardena, cui aderirono tutti i Comuni della zona, che redasse un progetto di ammodernamento ed elettrificazione, rimasto sulla carta a causa del mancato finanziamento da parte dello Stato.

Nel 1955 il trenino fu incluso nelle riprese cinematografiche per la realizzazione del film “Il prigioniero della montagna” (Flucht in die Dolomiten) del noto regista ed attore Luis Trenker, che documentò con immagini a colori e sonorizzate la bellezza dei luoghi attraversati alla ferrovia.

Nonostante il costante aumento di traffico turistico, la linea non fu oggetto di alcun intervento di sostanziale ammodernamento e potenziamento; il 28 maggio 1960, nonostante fosse già stato rinnovato l’armamento ma non il materiale di trazione, che era ancora praticamente quello d’eredità imperiale: il servizio fu interrotto e sostituito con corse di autobus. La linea venne soppressa ufficialmente e disarmata due anni dopo.

Nel 1969 il tracciato dismesso, nella tratta Chiusa-Ortisei, fu reimpiegato per la costruzione di una nuova strada di accesso alla valle, in vista delle gare dei Campionati mondiali di sci alpino 1970. La sede ferroviaria della parte alta della valle è invece diventata un sentiero pedonale di collegamento tra i diversi paesi.

Non è stato dato seguito a nessuno dei progetti di ricostruzione e nessuna infrastruttura ferroviaria è stata conservata, fatti salvi i viadotti e le gallerie. Nel 2011 il Museum Ladin Ćiastel de Tor ha dedicato una mostra e un catalogo alla storia della ferrovia gardenese.

Il 15 dicembre 2000 il complesso dell’ex sedime ferroviario, ivi comprese le opere ingegneristiche residue, fu acquisito dalla Provincia autonoma di Bolzano. Il 25 novembre 2017 la galleria di Santa Cristina, dopo alcuni lavori di adeguamento, fu riaperta al pubblico come percorso ciclopedonale: al suo interno sono stati allestiti alcuni pannelli esplicativi della storia della linea ferroviaria, mentre al portale occidentale (presso la chiesa parrocchiale) fu collocato un modellino in scala della vecchia stazione.

Sulla linea prestarono servizio in una prima fase una ventina di motrici diverse, provenienti da altre ferrovie a scartamento ridotto austriache; una di esse era la “tipo U” n. 3 della Ferrovia Mori-Arco-Riva. Il materiale trainato era composto da 66 carri merci e, per il servizio viaggiatori, da 6 carrozze a due assi. Nel 1936 giunsero a Chiusa numerosi rotabili provenienti dalla cessata ferrovia Trieste-Parenzo da cui vennero acquisite 14 carrozze, 2 bagagliai e una vettura postale. A Ortisei, sulla passeggiata Luis Trenker, è esposta quale monumento la locomotiva R.410.004. Per alcuni anni, fra il 1976 e il 2009, anche Chiusa ospitò una locomotiva monumento a scartamento ridotto a testimonianza della linea: si trattava della R 370 024 originaria della rete siciliana, in seguito trasferita con la medesima funzione presso l’Altopiano dei Sette Comuni.

Altre locomotive svolsero servizio sia sulla linea della Val Gardena, dal 5 febbraio del 1919 fino al 1960, che in val di Fiemme. Durante la seconda guerra mondiale andarono disperse in Bosnia le unità 002 e 007 (!). Dopo l’accantonamento vennero tutte demolite eccetto la 004 che, uscita nello stesso anno dalla revisione generale eseguita nell’Officina Grandi Riparazioni di Verona, era in ottimo stato di conservazione; oggi è monumentata a Ortisei.

Il Trenino delle Dolomiti: Dobbiaco – Cortina d’Ampezzo – Calalzo (1921-1964)

La “Ferrovia delle Dolomiti” -in tedesco Dolomitenbahn- era una ferrovia di montagna a scartamento ridotto lunga 65 km, che tra il 1921 e il 1964 collegava Calalzo di Cadore, Cortina d’Ampezzo e Dobbiaco, unendo le province di Belluno e Bolzano. Fu realizzata utilizzando varie ferrovie militari realizzate dall’autorità militare italiana e dall’autorità militare austriaca sui due versanti del fronte durante la Grande Guerra.

Già da fine dell‘800 in realtà iniziò a manifestarsi nella conca ampezzana la necessità di un collegamento con le zone circostanti; si pensava di realizzare un collegamento verso nord al paese di Dobbiaco e verso sud al paese di Calalzo di Cadore, dove sarebbe arrivata la linea ferroviaria nazionale, aperta solo nel 1914.

Nel 1865 l’ingegnere Locatelli presentò un progetto di collegamento ferroviario delle valli Tirolesi a Venezia e negli anni successivi si susseguirono diversi progetti per il collegamento delle zone montuose alla pianura veneto-friulana, ma nessuno convinse le autorità tanto da essere finanziato. Un altro progetto del 1869 prevedeva una linea con carrozze trainate da cavalli. 

Nel marzo 1905 fu autorizzato il progetto di costruzione di una linea ferroviaria a scartamento ridotto tra Cortina d’Ampezzo e Dobbiaco, rimasta però sulla carta. Nel 1915 lo scoppio della Grande Guerra spinse l’esercito austriaco a realizzare una ferrovia a scartamento ridotto per il trasporto di munizioni e provviste fra Dobbiaco e Landro; a loro volta nel 1916 i soldati italiani realizzarono una ferrovia tra Peaio e Zuel, alle porte meridionali di Cortina d’Ampezzo, vicina ai punti strategici del fronte, posando i binari sulla strada statale.

All’inizio del 1917 il genio militare italiano iniziò i lavori di costruzione di una ferrovia su sede propria tra Peaio e Cortina, ma i lavori si interruppero dopo la disfatta di Caporetto avvenuta nel novembre dello stesso anno. I genieri austriaci però continuarono i lavori fino a Calalzo. Dopo lo spostamento del fronte, nel 1918 i lavori sulla tratta ex italiana furono continuati dagli austriaci.

Finita la guerra, la linea rimase in completo abbandono. Solo nella primavera del 1919 il genio militare italiano intervenne a completare l’opera, che fu completata nel 1920 dopo aver portato lo scartamento da 750 a 950 mm nelle tratte costruite dagli austriaci, utilizzando fra l’altro materiali posti in opera sulla tranvia Udine-San Daniele, prima che fosse decisa la riapertura di quest’ultima.

La linea fu attivata il 15 giugno del 1921, usando per la trazione le locomotive abbandonate dagli austriaci, previa modifica dello scartamento. Sotto la direzione militare la linea andò avanti con un forte deficit; il traffico tra Cortina e Dobbiaco era limitato ai mesi estivi e ad una coppia di treni a giorni alterni. Il 1º gennaio 1923 la ferrovia fu affidata al Regio Circolo Ferroviario di Bolzano, che diede alla linea maggiore regolarità di servizio e realizzò un consistente aumento di traffico e quindi di introiti.

Data la favorevole esperienza, nell’estate del 1924 il Ministero dei Lavori Pubblici affidò la concessione per l’esercizio della linea, della durata di 35 anni, alla Società Ferrovie delle Dolomiti (SFD), consociata alla Società Veneta, che nel 1925 acquistò due locomotive di tipo Mallet in cambio della cessione di quattro vecchie Feldbahn e realizzò una variante di tracciato a protezione dalle slavine presso Pezzovico, che richiese la costruzione di una galleria lunga 559 metri. L’opera più significativa era peraltro costituita dal prolungamento verso sud dal capolinea originario fino al piazzale antistante alla stazione di Calalzo delle Ferrovie dello Stato.

Ulteriori miglioramenti furono attuati nel 1927, quando ogni paese attraversato dalla linea ferroviaria contribuì economicamente per acquistare nuovo materiale rotabile, migliorare il tracciato di alcune curve e installare lanterne semaforiche nei passaggi a livello. Si parlò addirittura di un aggiornamento della linea da scartamento ridotto a scartamento normale, ma il progetto non fu mai realizzato. Il 1º luglio 1929 fu inaugurata la trazione elettrica, grazie alla quale la ferrovia delle Dolomiti poteva finalmente assolvere le sue funzioni fondamentali: collegare il capolinea FS di Calalzo con la Val Pusteria e con le linee per il Brennero e l’Austria e migliorare l’accesso turistico nella zona di Cortina d’Ampezzo.

Durante il secondo conflitto mondiale, Cortina venne trasformata in zona ospedaliera, così la ferrovia assunse l’onere del trasporto dei feriti provenienti dal fronte, realizzando convogli-ospedale con i propri carri chiusi, dotati di brande. Nel 1943 l’esercizio della ferrovia fu svolto direttamente a cura dell’esercito tedesco. Nel secondo dopoguerra, pur in un clima non favorevole al trasporto ferroviario anche a causa della nascente motorizzazione privata, la ferrovia delle Dolomiti acquisì maggiore notorietà comparendo in alcune sequenze dei film “Il conte Max”, del 1957, “Vacanze d’inverno” del 1959 e “La pantera rosa” del 1963.

Un ruolo fondamentale nelle Olimpiadi Invernali del 1956 fu senza dubbio giocato dalla Ferrovia delle Dolomiti, sia per il trasporto degli spettatori ma anche per quello degli atleti, dei giudici di gara, degli organizzatori e dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, che presenziò alla cerimonia di apertura dei Giochi. Sebbene il numero di persone che assistevano alle gare e alle cerimonie olimpiche, a quei tempi, fosse di gran lunga inferiore a quello delle edizioni più moderne, il continuo flusso di visitatori impegnò molto il “Trenino delle Dolomiti”, che trasportò fino 7000 passeggeri al giorno nella Conca Ampezzana.

Fu questo l’ultimo momento di gloria della ferrovia, che per far fronte al traffico previsto acquistò due nuovi convogli; l’officina di Cortina costruì altresì nuove carrozze e furono risanati venti chilometri di binario.

Declino e chiusura

Cessati i giochi il declino fu inesorabile, a causa del calo di traffico, delle riduzioni di personale e della mancanza di investimenti. La manutenzione dell’armamento e del materiale rotabile divenne precaria e, proprio a causa di questa cattiva manutenzione, l’11 marzo 1960 si ebbe un grave incidente, fino ad allora l’unico di tutta la storia della ferrovia delle Dolomiti. Un treno passeggeri, proveniente da Cortina, uscì dai binari a causa della rottura di una boccola del vagone-bagagliaio; una vettura, che si trovava in curva, si rovesciò e fu trascinata per alcuni metri dalla motrice rimasta sulle rotaie. Il bilancio fu di 2 morti e 27 feriti. L’incidente fu il colpo di grazia per la ferrovia, che in tanti anni non aveva mai avuto incidenti. Sulla Cortina-Calalzo si proseguì stentatamente fino alle ore 18.20 del 17 maggio 1964, quando partirono da Cortina l’ultimo convoglio viaggiatori e l’ultimo convoglio merci. In breve tutto il materiale utilizzato dalla ferrovia (binari, traversine, cavi elettrici e piloni) fu fatto sparire e rivenduto dalla gente e dalle imprese del posto. L’unica eccezione è il ponte sul Felizon, ancora oggi presente come allora. Alla chiusura della linea entrambi gli elettrotreni furono ceduti alla ferrovia Trento-Malé-Mezzana.

Il tracciato della ferrovia fra Dobbiaco e Cortina fu in seguito riutilizzato come percorso di sci da fondo in inverno e pista ciclabile in estate.

Ferrovia Brunico – Tures (1908-1957)

La ferrovia Brunico–Campo di Tures, nota anche come Ferrovia di Tures, fu progettata e finanziata nel 1908 da un comitato che aveva ottenuto l’apposita licenza ed era guidato dall’avvocato di Brunico Hans Leiter. L’obiettivo era collegare Campo Tures alla rete ferroviaria, creando così un moderno sistema di trasporto per il turismo e l’economia locale, in particolare per il trasporto del legno compensato. La ferrovia, che si sviluppava su un unico binario per 15,4 chilometri di lunghezza, fu inaugurata il 21 luglio 1908 e lungo il percorso prevedeva sette soste. Questa ferrovia fu una delle prime linee elettrificate in Tirolo e per completare un viaggio impiegava circa 40 minuti. I treni coprivano il tragitto tra Campo Tures e Brunico tre volte al giorno.

Dopo la Grande Guerra e con il passaggio del Sudtirolo sotto sovranità italiana, la ferrovia di Tures passò alle Ferrovie dello Stato. Dopo la seconda guerra mondiale la ferrovia della Valle Aurina ed altre ferrovie locali, ad esempio la ferrovia della Val Gardena e quella della Val di Fassa, persero nettamente d’importanza e di redditività a causa del sempre più diffuso traffico automobilistico rispetto al crescente trasporto di passeggeri attraverso le autocorriere, tanto che il 31 gennaio 1957, nonostante le proteste, la linea ferroviaria cessò la propria attività. 

Il materiale rotabile fu trasferito a Merano e venduto per la demolizione nel settembre del 1958. Dopo la chiusura la linea fu smantellata assieme a parte dei fabbricati. Il tracciato ferroviario fu spianato e in seguito parzialmente trasformato in una pista ciclabile. Studi più recenti di fattibilità per la sua ricostruzione non condussero ad alcun risultato concreto. 

In anni recenti (2019) ha ripreso forza l’ipotesi di una riapertura della linea, con possibile collegamento alla Zillertal in Austria, dall’altra parte delle Alpi.

Testi rielaborati da Wikipedia
© mappe di Alessandro Ghezzer


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