Chiarastella Feder, italiana di Treviso, da 15 anni vive in Canada e si occupa di gestione faunistica e riduzione dei conflitti tra le piccole comunità rurali e grandi predatori come l’orso grizzly, l’orso nero, il lupo e il puma, tramite progetti mirati di educazione e prevenzione.
Come biologa della fauna selvatica presso il Governo Provinciale dell’Alberta per la Fish & Wildlife Division a Rocky Mountain House, a ridosso delle Montagne Rocciose centro-orientali, ha speso i primi anni a guadagnare il rispetto dei locali: adesso è amichevolmente conosciuta nelle varie comunità come la “Bear Lady”. Ha coronato un sogno che aveva fin da bambina, quello di potersi occupare degli orsi. Tra le cose di cui va fiera, ha svezzato quattro cuccioli orfani di grizzly per dar loro una seconda opportunità, rilasciandoli in libertà dopo quasi sette mesi di stretta convivenza. Gli orsi si sono riabituati in natura e non hanno mai creato conflitti. Un successo mai realizzato in Alberta.
Chiarastella si trovava in Italia durante le vicende dei vari orsi in Trentino di JJ4, M49 e M57 e le ha seguite con attenzione. Le ho fatto un po’ di domande in una lunga chiacchierata telefonica.
M49 e M57 sono pericolosi?
Non posso dire che non lo siano. Lo sono. Perché sono stati fatti diventare confidenti. E con gli orsi confidenti prima o poi succede l’incidente, più o meno grave. Qui in Canada abbiamo purtroppo una ricorrente casistica. Andare a cercare le colpe del fatto che siano diventati confidenti serve a poco: gli orsi ora ci sono e in qualche modo vanno gestiti, prendendo delle decisioni. Non è possibile non fare nulla sperando nella buona sorte.
Noi italiani vediamo dei bellissimi video americani su Youtube di orsi che nuotano nelle piscine delle ville o che giocano nei giardini delle case, coi proprietari che osservano divertiti dalle finestre: sembra che la cultura dell’accettazione degli orsi negli USA sia avanti anni luce rispetto al Trentino, dove scene del genere susciterebbero un putiferio. E’ proprio così?
La gente non sa che gli orsi protagonisti di questi video “divertenti” , purtroppo, spesso finiscono abbattuti, in quanto confidenti e pericolosi. In Canada dove vivo gli orsi abbattuti dai rangers sono 450-500 ogni anno. Contrariamente a quel che si pensa, la mentalità dei Nord- americani è molto diversa dalla nostra: per loro uccidere un orso è “normale”, nel senso che se un orso è problematico, viene abbattuto. Non è mai bello e non piace a nessuno, soprattutto quando il problema è stato creato dalla disattenzione e dall’ignoranza umana. Tuttavia è quello che succede. Qui in Alberta, dove vivo, ci sono circa 4.300.000 abitanti, concentrati nelle due principali città di Calgary e Edmonton (complessivamente 1,7 milioni di abitanti), su una superficie che è il doppio dell’Italia. Il resto della popolazione risiede in piccole cittadine o paesi. Il territorio dell’Alberta ha enormi zone disabitate.
Anche se il contatto con la natura è forte, nei piccoli borghi rurali insegnare l’educazione alla convivenza con gli orsi continua ad essere una sfida, è un lavoro che richiede pazienza e un impegno costante nel tempo. Perché bisogna cambiare la modalità di pensiero e imparare a prendersi la responsabilità di gestire bene il territorio, evitando per esempio di lasciare in giro rifiuti e altre sostanze che attirano l’orso e lo rendono confidente. Le dinamiche alla fine sono le stesse, e si ripetono qui come in Italia. La gente scopre quasi all’improvviso che l’orso è pericoloso solo quando sfortunatamente succede un incidente. L’educazione non può essere gestita solo dall’autorità facendola cadere dall’alto, ma anche e soprattutto dal basso con un’opera capillare sul territorio, anche con l’aiuto di volontari locali. E’ un lavoro molto impegnativo ma fondamentale.
Come si risolve la situazione attuale di crisi in Trentino?
E’ una situazione a cui non si sarebbe dovuti arrivare. Credo che a fianco del progetto di reintroduzione non si è attuata un’adeguata e indispensabile opera di educazione e informazione della popolazione. Ma 20 anni fa, non si parlava nemmeno di “coesistenza”, è un concetto di quest’ultimo decennio. La situazione di M49 e M57 è complessa e drammatica. Drammatica perché è una situazione che forse si sarebbe potuta evitare. Ma come si farà nel tempo? Del resto, comprendo la difficoltà e spesso anche l’angoscia degli amministratori che devono decidere di fronte a situazioni critiche. Chi si assume il rischio di lasciar libero un orso considerato pericoloso, che magari ha ferito un uomo? E anche se non ha ferito nessuno, un orso abituato alla presenza umana è un animale che presenta dei rischi. In Canada, purtroppo, questi animali vengono spesso abbattuti. Giusto o sbagliato, questo è un problema diverso, ma ad un certo punto si deve scegliere il livello di rischio con cui convivere.
Purtroppo un orso abituato all’uomo o che fa danni diventa un rischio troppo grande da gestire per gli amministratori. Lo scontro frontale tra amministratori e animalisti non porta lontano: entrambe le parti dovrebbero provare ad evitare di cercare le colpe e iniziare a cercare le soluzioni. Io non credo che tenere in cattività gli “orsi confidenti” sia una soluzione sostenibile. E’ necessario trovare soluzioni condivise. Non è possibile pensare di continuare lo scontro coi ricorsi al Tar, perché ogni anno si ripresenteranno puntualmente gli stessi problemi. Se si vuole conservare una popolazione di orsi sulle Alpi, bisogna accettare l’idea di gestire questi animali a livello di popolazione. Magari è necessario abbattere un certo numero di animali problematici, che di solito è una percentuale bassa, circa il 2-3%, per il “greater good”, il bene supremo, ovvero salvaguardare la popolazione degli orsi nel suo complesso. Altrimenti l’accettazione sociale sarà sempre più bassa e nel giro di 20 anni gli orsi non ci saranno più, estinti un’altra volta. Anche se il rischio di essere feriti o uccisi da un orso è bassissimo (fanno molte più vittime le mucche, le zecche o le vipere, per non parlare delle vittime della caccia o peggio della strada), bisogna tenere in considerazione la paura atavica e anche irrazionale delle persone. Così come bisogna considerare anche i legittimi interessi economici di chi vive e lavora in montagna, a contatto coi predatori di cui farebbe volentieri a meno.
E’ possibile un’alternativa alla prigione per M49 e M57?
Con la morte nel cuore, temo di no. M49 è “un figo”, uno di quegli animali che passano alla “storia”. Tuttavia, se M49 fosse stato in Canada, sarebbe stato probabilmente ucciso. Purtroppo questi esemplari sono perduti e dovrebbero essere abbattuti, perché tenerli prigionieri in una struttura come il Casteller è una crudeltà. L’Italia è l’unico paese al mondo a fare una scelta del genere, perché si ha paura di prendere decisioni “impopolari”: la gente crede che un orso prigioniero sia meglio che morto, ma ne siamo sicuri? E’ peraltro assurdo pensare di continuare a catturare orsi e pretendere di rinchiuderli nel recinto del Casteller: è una struttura del tutto inadatta, nata per ricoveri temporanei e per fronteggiare le emergenze di animali malati o feriti, non certo per detenere orsi a vita.
Qualcuno ha ipotizzato il rilascio in natura con stretto controllo coi radiocollari, oppure di portare gli orsi in altre regioni italiane o all’estero.
Il problema è che sono orsi pericolosi, non se li prende nessuno. Chi si assume un rischio del genere? Sono orsi confidenti e in qualunque posto li metti torneranno ad avere gli stessi comportamenti di prima, ovvero avvicinarsi agli abitati per cercare cibo facile. E’ molto difficile rieducare un orso confidente. L’alternativa sarebbe portarli in qualche foresta della Russia, in mezzo al nulla, dove non possono nuocere: posti simili non esistono in Italia e forse neppure in Europa. Ma un orso traslocato in un territorio completamente diverso dal suo, ha bassissime possibilità di sopravvivenza. Sarebbe un modo per noi di lavarsi la coscienza e dimenticare il problema. Anche riportarli in Slovenia non darebbe alcuna garanzia, perché in quello stato l’orso è cacciabile. Quanto al monitoraggio stretto, in teoria si potrebbe anche fare, ma ha senso? Richiede uno sforzo e costi enormi e continui, perché l’orso dovrebbe essere monitorato giorno e notte, con squadre pronte a intervenire in caso di emergenza. La domanda che dobbiamo farci è: ha senso? A che serve? A prolungare di qualche mese la vita dell’orso?
Quindi l’unica via è l’abbattimento?
Razionalmente, sì. Se posso immaginare un epilogo meno triste per questi orsi, sarebbe quello di metterli in un’area faunistica adeguata, come testimoni del conflitto con l’uomo. Dove la gente li possa vedere, a debita distanza, per conoscere la loro storia e riflettere sul nostro rapporto con la natura e gli animali. L’orso è una specie molto adattabile, dopo un periodo di sofferenza è in grado di abituarsi a vivere anche in spazi limitati. Questo sarebbe forse l’unico modo concepibile di sacrificare non inutilmente questi meravigliosi animali.
Per approfondire
Il sito ufficiale sui grandi carnivori della Provincia Autonoma di Trento
https://grandicarnivori.provincia.tn.it/Rapporto-Orso-e-grandi-carnivori
Rapporti orso e grandi carnivori
Dal 2007 la Provincia pubblica un rapporto annuale ricchissimo di dati e informazioni
https://grandicarnivori.provincia.tn.it/Rapporto-Orso-e-grandi-carnivori